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IL RAPPORTO PREZZO/UTILI (P/E)

Si tratta di un indicatore fondamentale nelle valutazioni azionarie. Non è altro che il rapporto fra il prezzo di un’azione o il valore di un indice e l’utile (sempre per azione) che un’azienda, un settore o un intero mercato producono. Al primo livello indica il tempo necessario per ripagarsi l’investimento effettuato con l’acquisto, nell’ipotesi – peraltro eroica – che gli utili rimarranno identici di anno in anno.

Visto così l’indicatore non sembra promettere una grande utilità. Però se monitoriamo la sua evoluzione nel tempo ci rendiamo conto che il P/E segnala se quell’azienda, quel settore, quell’indice stanno diventando via via più cari o più a buon mercato. Se poi disponiamo di una serie storica consistente, il quadro si fa ancora più chiaro.

Il rapporto P/E non è altro che un moltiplicatore dei profitti. Dunque, oltre all’evoluzione dei profitti, è l’evoluzione del P/E a determinare il prezzo. Infatti

                                                               Prezzo di un’azione = E (utile per azione) * P/E

L’andamento di un’azienda determina i suoi utili, ma cosa determina le variazioni del moltiplicatore P/E? La previsione degli utili aziendali per le grandi aziende quotate è un fatto noto: solitamente vengono fornite previsioni per molti trimestri successivi, che sono periodicamente riviste e riaggiornate. Le sorprese da quel lato ci sono, ma non sono poi molte. Se il rapporto P/E non si muovesse, non sarebbe difficile prevedere l’andamento dei prezzi di borsa. Ma il P/E si muove parecchio ed è soprattutto lui a rendere molto difficile ogni previsione.

Chi ha lavorato in azienda sa quanto sia importante, ma molto difficile migliorare il P/E rispetto a quello dei propri concorrenti.

Dunque quali fattori determinano il livello del P/E? Possiamo prevedere, almeno a grandi linee, come evolverà a medio termine? Perché se lo sapessimo fare potremmo ragionevolmente prevedere i prezzi delle azioni e l’andamento delle borse.

Sono due i fattori che influenzano pesantemente il P/E

Il primo fattore è la fiducia – in un’azienda, in un settore, in un’economia.

 Immaginate di dover scegliere fra due azioni di uno stesso settore che stanno dichiarando per l’anno in corso lo stesso utile. Ma l’azienda A, inizialmente più piccola, sta aumentandolo sistematicamente da anni, mentre l’azienda B, da anni vede gli utili contrarsi. Ovviamente, se costassero lo stesso prezzo, tutti investirebbero nella A. Quindi la A costerà necessariamente di più: a parità di utile, sarà dunque il P/E ad essere più alto. La differenza nei P/E riflette la diversa valutazione sugli utili futuri.  La stessa cosa vale quando si consideri un settore rispetto ad un altro o addirittura un intero indice, ad esempio l’SP500: la maggiore o minore fiducia circa l’evoluzione dell’insieme delle aziende rappresentate si tradurrà in rapporti P/E migliori o peggiori rispetto a quelli impliciti negli indici europei, asiatici ecc.

C’è poi un altro importantissimo fattore ad influenzare il P/E: il movimento nei tassi di interesse.

Il reciproco del rapporto P/E è E/P, il rapporto utile/prezzo, ovvero il rendimento generato da un’azienda, da un settore o da un mercato. Qui tutti gli investimenti diventano confrontabili. Possiamo confrontare gli investimenti in azioni con quelli in obbligazioni.

Meglio guadagnare il 5% sicuro investendo in obbligazioni, o meglio guadagnare lo stesso 5% prendendosi un rischio ben più alto con le azioni? È ovvio che le azioni devono dare un rendimento maggiore per essere appetibili: questo extra rendimento lo chiamiamo premio di rischio. Immaginiamo che le obbligazioni di uno Stato ben solido rendano il 2% e le azioni nel loro complesso rendano il 5%: il P/E del mercato azionario sarebbe quindi 20 (100/5 = 20) e il premio per il maggiore rischio sarebbe del 3%. Se lo stato decidesse di alzare la remunerazione delle sue obbligazioni al 4%, cosa succederebbe? Se gli investitori ritenessero permanente/di lungo termine quell’aumento, chiederebbero una remunerazione più alta per l’investimento azionario. Mantenendo fermo il premio di rischio al 3%, chiederebbero per l’azionario il 7% e il rapporto P/E dovrebbe scendere a 14.3 (100/14.3 = 7%): una caduta dei mercati vicina al 30%.  Inoltre è probabile che, in questa situazione, anche gli utili delle aziende sarebbero destinati a scendere in qualche misura, rendendo ancora più importante la caduta. Un ribasso dei tassi porterebbe invece, per lo stesso motivo, a risalite dei prezzi forti e rapide.

Il movimento congiunto dei due fattori che impattano sul rapporto P/E – fiducia nel futuro e tassi – spiega la ragione delle oscillazioni spesso rapide e violente che caratterizzano gli investimenti azionari.

A questo punto è legittimo chiedersi se le quotazioni attuali, in ribasso da oltre un anno, riflettano correttamente sia le previsioni economiche, sia i rialzi passati e futuri dei tassi. Da queste valutazioni dipenderanno le nostre previsioni per i prossimi mesi. Potremmo anche dedurre, implicitamente, le previsioni che i mercati stanno portando sull’evoluzione dei due fattori chiave, valutazioni che a volte possono divergere da quelle delle Autorità, delle banche e degli economisti. Si tratta di un argomento che richiede altre analisi. Proporremo le nostre interpretazioni sui livelli attuali dei mercati in un prossimo articolo

Scritta il 30/03/2023

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